Erano rimasti in cinquanta. Cinquanta esemplari di pollo romagnolo in tutto, posseduti da un anziano allevatore in provincia di Ravenna. Da quel giorno del 1997, quando li mise a disposizione della facoltà di Veterinaria dell’Università di Parma affinché venisse avviato un programma di conservazione e ripopolamento della razza, è passato più di un quarto di secolo. E oggi il pollo Romagnolo ottiene il riconoscimento come Presìdio Slow Food che ha come responsabile Lia Cortesi.
I motivi principali del rischio estinzione
Il pollo di razza Romagnola è piuttosto lento a crescere e impiega fino a sei-otto mesi per raggiungere la massa che le razze commerciali toccano in cinquanta o sessanta giorni. È una razza rustica, che ama stare all’aperto, razzolare liberamente. Nel secondo dopoguerra, proprio la caratteristica che più lo contraddistingue – il bisogno di ampio spazio per procurarsi il cibo raspando tra i ciuffi d’erba e beccando le granaglie avanzate dalla mietitura – ne ha sancito la pressoché totale scomparsa: garantirgli lo spazio all’aperto è diventato, per chi ha preferito adottare un approccio industriale e intensivo all’allevamento, sconveniente e poco redditizio.
Nel 1977 inizia il recupero del pollo di razza Romagnola
Il processo di recupero, cominciato nel 1997, ha consentito di moltiplicare il numero di esemplari: “Oggi possiamo stimare tra i 500 e i 600 riproduttori negli allevamenti della Romagna”, spiega Alessio Zanon, presidente della Associazione razze autoctone a rischio di estinzione. Gli allevatori professionali che aderiscono al Presidio Slow Food sono tre, a cui si aggiungono gli allevatori amatoriali di pollo Romagnolo membri dell’Associazione razze e varietà autoctone romagnole (Arvar). Uno di loro è Davide Montanari, referente dei produttori del Presidio.
Ottimo per la produzione di uova, carne e anche ornamentale
Fino alla metà del secolo scorso, questa razza avicola era diffusa in tutta l’area delle odierne province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. Il pollo Romagnolo era apprezzato per la duplice attitudine, anzi triplice: innanzitutto per produrre uova, materia prima tra le più importanti della tradizione gastronomica dell’area, in particolare per la preparazione della pasta fresca, poi per la carne, sapida e saporita e, in alcuni casi, anche semplicemente a scopo ornamentale per la livrea variopinta.
Perché è importante sostenere le razze autoctone
Come molte altre razze autoctone, anche la Romagnola è meno produttiva: “In realtà è solo incapace di adattarsi a un allevamento intensivo, mentre in un sistema estensivo si rivela vincente” conclude Zanon.”Questo Presidio Slow Food è importante perché è un esempio di allevamento virtuoso – afferma Lia Cortesi – esortiamo spesso a mangiare meno carne e a mangiarla di qualità, e questo vale anche per il settore avicolo. Quando sento dire indiscriminatamente che il pollo “è sano”, faccio presente che negli allevamenti industriali spesso vengono somministrati antibiotici agli animali e il benessere si misura esclusivamente nel numero di animali per metro quadro. C’è pollo e pollo, insomma, e dobbiamo educarci alla scelta”.
I Presìdi Slow Food in Emilia-Romagna sono 19
I Presìdi presenti in Emilia-Romagna sono 19, frutto di una collaborazione di lunga data tra Slow Food Italia e la Regione che ha portato recentemente alla firma di un protocollo d’intesa. «Il sostegno ai Presìdi Slow Food, capaci di creare cultura e identità, porta avanti un progetto che coinvolge le comunità locali e persegue obiettivi come salvare la biodiversità, tutelare gli ecosistemi e le risorse naturali, tutelare la salute dei cittadini e promuovere filiere eque dal punto di vista sociale. I Presìdi sono una ricchezza qualitativamente ineguagliabile, preservata da chi ogni giorno si impegna per ridare il giusto valore all’alimentazione, rispettando chi produce cibo sano e un’armonia che le istituzioni devono difendere e promuovere sempre» aggiunge l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi.